domenica 10 ottobre 2010

neuroteologia

Mi è capitato di imbattermi, in rete, con gentaglia strana. Novelle "streghe" o maghette varie, amanti della notte, della luna, di candele e poltiglie varie. Io guardo fuori e vedo il sole e mi sento più che mai lontana da questo genere di femmine che evidentemente non ha recepito un emerito tubo dei Misteri di cui vanno cianciando.
Un giorno ho iniziato lo studio dell'Alchimia. Non ho capito niente, se non che calderoni e alambicchi non c'entrano molto e che la Via Alchemica è un'altra cosa. Negli anni ho anche imparato che esistono forze, alcune note alla scienza e altre no. In passato gli uomini personificavano queste forze, la Venere-attrazione, per es.
La realtà regolata dalle sue leggi era profondamente tenuta in considerazione come manifestazione del divino, quindi qualcosa che va oltre la natura stessa.
Anch'io non credo che la scienza sia scindibile dalla religione, intesa questa come cammino di risveglio di consapevolezza, in altri termini, le moderne "streghette de noantri", rinchiuse nel loro follettoso mondo lunare e naturalistico fine a sè stesso, non sanno che la magia consiste nel dirigere il proprio pensiero controllando la mente. Niente di meno di questo!
La scienza lo ha capito e da qualche anno ha iniziato a inoltrarsi nello studio della mente umana come generatore della realtà materiale.
Sembra un film.
Certamente l'elettricità, pur essendo lì alla portata di tutti, fu un fenomeno inspiegabile finché la scienza ortodossa ne capì il sistema ed imparò a gestirlo, "producendola" sistematicamente.
Analogamente, ritengo che la scienza di oggi abbia in eredità questo approccio in cui con il lento procedere di "scoperte", grazie a macchine più precise e ad intuizioni di scienziati, riesce a porsi domande, a studiare fenomeni e a ricrearli.
Ammettendo anche la possibilità teorico-matematica della disgregazione atomica, l'invisibilità dell'oggetto, la ricomposizione dello stesso in uno spazio-tempo diverso o lontano, resta alquanto difficile formulare una legge a riguardo e a riprodurre i fenomeni, soprattutto nel momento in cui non la "macchina" di una scienza moderna li compie, ma una mente umana.. Lo scienziato di oggi sta entrando in un ambiente poco ortodosso, dovendo prendere in esame la possibilità che:
- l'osservatore influenza il fenomeno stesso quando lo osserva, lo pensa, (l'"ondicella" dei fisici nucleari)
- che i fenomeni avvengono esclusivamente in presenza di determinate persone (ammettendo come veritiere le testimonianze su monaci tibetani)
- che l'approccio "irrazionale" ha allevato scienziati culturalmente poco "coraggiosi" e non propensi a ritenere la mente dell'uomo un naturale vettore di energia che sprigiona vibrazioni e dunque compie alcuni mutamenti atomici. Le peculiarità della mente, pur essendone sconosciute possibilità ed effetti, sono sempre state note in ambiente accademico, ma sono state abbandonate all'ambiente metapsichico. Quasi come se l'uomo fosse un elemento "a parte" rispetto al mondo in cui operano le leggi naturali.
Una ricerca sul coinvolgimento dei sensi è stata condotta dal dr.Andrew Newberg dell'Università di Pennsylvania il quale dopo una esperienza davvero particolare ha iniziato a studiare gli effetti della meditazione e della preghiera sul corpo ed in particolare nel cervello.
La scienza ha dimostrato gli effetti positivi della meditazione nel cervello che, nell'individuo dedito a questa attività, anziché diminuire con il passare del tempo e con l'età, si rafforzerebbe ed aumenterebbe la massa ispessendosi in zone generalmente rilevanti solo durante l'infanzia.
Il professore ha esaminato monaci tibetani e suore fancescane preventivamente posti in ambienti rilassanti ed adattati alla meditazione-preghiera con candele, incensi, luci appropriate.
Quando il religioso percepiva che il momento era propizio e stava per entrare in uno stato spirituale profondo dava un segnale attraverso un filo ed in quel momento il professore iniettava per endovena il liquido da contrasto che si usa in medicina.
Emerse che durante le meditazioni, le preghiere e le attività rituali si disattivavano le zone neurologiche preposte all'orientamento spazio-temporale e si attivavano nuove zone in cui l'io del soggetto entra in uno stato di "eternità", uno stato di coscienza dove si sente tutt'uno con il cosmo e vengono meno le sensazioni individuali.
Questo è servito per capire che biologicamente l'uomo è predisposto a raggiungere uno stato di sovrasensibilità, stato generalmente legato al concetto di religione e conseguente appunto agli effetti ottenuti attraverso questo "canale con Dio", ovvero agli stimoli in certe zone del cervello.
Interessante notare che molti studiosi ritengono che il soggetto epilettico, in quanto presenta determinate caratteristiche neurologiche, ha la predisposizione a rivolgersi e a credere ad un Dio, in virtù degli stimoli provocati dalla malattia stessa.
Dopo queste riflessioni, ho voglia di godere del sole che questo ottobre ancora ci regala!

giovedì 7 ottobre 2010

discussioni sulla reincarnazione

Io:
Generalmente noi occidentali non siamo "pratici" di reincarnazione perché generalmente la si crede un affare orientale. Sappiamo che così non è, però la cultura moderna ci ha mostrato un'India spirituale, nella quale il fenomeno in questione è tenuto in grande considerazione da chiunque, per motivazioni religiose. Si sosteneva che le famiglie indiane incoraggiassero i figlioletti a ricordare, e talvolta esplorassero la loro pelle in cerca di macchie che potessero figurare un'esistenza precedente connessa a morte violenta. Si diceva infatti che le macchie comparivano dove il corpo precedente aveva subito i traumi implicati nel decesso e che l'anima si sarebbe incarnata quanto prima, in un ambiente idoneo a smaltire quelle forti impressioni emotive. Ora, in tutto c'è del vero e c'è del falso.
Non è vero che gli indiani a priori acconsentissero ed incoraggiassero i bambini a ricordare, anzi, spesso vi era un rifiuto verso certe stramberie e quando i bimbi parlavano di quando "erano grandi" i genitori li mettevano a tacere anche con metodi di rieducazione, magari riempiendo loro la bocca di sapone per punirli. Ora, non so esattamente come funzioni in India e quante cose sopra dette corrispondano effettivamente alla verità, in quanto la mia conoscenza a riguardo è puramente basata su libri, ma mi colpì fra le altre cose il fatto che pare vi fossero diverse schede di casi criminali che iniziavano con il rapimento di bambini da parte di donne provenienti da zone rurali, che li uccidevano per coprirsi del loro sangue in una sorta di sacrificio volto a richiamare su di sé quelle anime, perché appunto si incarnassero in un figlio loro.
Quindi, credo veramente che vi siano, ovviamente, "cattive" interpretazioni (anche) dei testi orientali, sia da parte esterna che da parte degli orientali stessi e dunque concordo con questa osservazione:
Ma la Bhagavad Gita e tutti gli altri testi vedici confermano il contrario di quanto chi asseriva quanto sopra avrebbe dovuto sapere, perché la Gita sarebbe dovuta essere oggetto di profondo studio, ma a quanto pare non era (ed è ancora temo) così.

Per quanto riguarda quest'altra affermazione:
“Al contrario le anime uccise per morte violenta non riescono ad ascendere nelle dimensioni astrali e rimangono legate alle dimensioni basse. Il primo concepimento che beccano et voilà... già reincarnati (sempre se riescono ad entrare).”

ho letto che l'anima tende ad incarnarsi in zone o comunque in situazioni vicine a quella lasciata, per completare un lavoro precedente e per alleviare quelle impressioni emotive che permetterebbero al "nuovo" bambino di ricordarsi la vita precedente, spesso proprio sotto forma di trauma psicologico. Se così veramente fosse, allora non sarebbe una scelta dovuta ad un "primo concepimento che beccano" ma una scelta per certi versi "dovuta". Comunque, queste anime rimarrebbero legate alla materia e alle dimensioni precedentemente chiamate "basse".
E che ne pensate dei "ricordi di altre vite" avuti per ipnosi regressiva? Pare che sia un metodo usato terapeuticamente per rimuovere blocchi e fobie che la psicanalisi non riesce a curar forse perché radicati più in là della nascita stessa. Anni fa lessi parecchio a riguardo, sottolineo, però, che non tutti i medici che usano questa tecnica sono realmente convinti si tratti di ricordi che dimostrerebbero la reincarnazione, anzi, questi professionisti scettici ritengono che il soggetto abbia in qualche modo accesso alle immagini di altri soggetti e molti pazienti stessi ritengono le immagini che vedono una metafora della propria vita e delle proprie difficoltà (spesso però inspiegabili perché il soggetto racconta vicende e personaggi che non potrebbe oggettivamente conoscere). Ad ogni modo, accanto a cliniche specializzate in questo tipo di ricerca che vede un sistema di monitoraggio dell'encefalogramma al fine di capire quali parti di cervello sono implicate in certe esperienze ipnotiche (e si è visto-ancora una volta-che il mutamento avviene attraverso una vibrazione..) vi è la critica di quella parte di scienza metodologica "classica" che contesta una terapia che risveglia qualcosa che la mente, per proteggersi, cancella, ignora, oscura: sarebbe uno sblocco pericoloso. In fondo, se l'uomo incarnandosi, "s'immerge nel Lete", è giusto forzare la mente anziché lasciarsi andare alla vita così com'è, e magari un giorno, superati gli ostacoli, "ricordare spontanemente"? Ma la questione avanzata da chi impiega questo metodo di regressione è "se l'ipnosi regressiva, qualunque cosa implichi, aiuta il soggetto a guarire definitivamente e subito da tumori, macchie cutanee, fobie, paranoie, dolori di varia natura e quant'altro, perché non servirsene, pur sempre in misura tale da non provocare ansie da nuovi "sensi di colpa karmici" o condizionamenti ulteriori provenienti da un'altra esistenza?

Nebe:
il ricordo così ottenuto viene comunque filtrato dalla coscienza ordinaria, impregnata altresì del magnetismo dell'ipnotizzatore. Non è veritiero.

Io:
E' certamente vero che la coscienza filtra i "ricordi" e che in determinate circostanze -per ipotesi in tutte- l'ipnotizzatore più serio possa inconsapevolmente influire nel racconto del paziente. Ci sono casi in cui emergono degli elementi e delle conoscenze inspiegabili nella vita ordinaria del paziente (e del medico stesso). Lingue sconosciute ad entrambi, personaggi, fatti, nomi, abitudini storiche completamente estranee alla cultura, allo studio, di entrambi.
Ma alla famiglia, agli antenati, del paziente? E a quelli del medico? Al loro "clan"?
Che rapporto vi è, allora, tra il nostro subconscio e quella che potremmo chiamare "coscienza collettiva"? Intercorre un processo di semplificazione dell'individuo, un po' come quando si riduce ogni momento del Tempo ad una più ridotta contemporaneità.

Madu:
Krishna nella Ghita dice che Lui da la Conoscenza e l'oblio delle vite precedenti. Quindi io non credo sia possibile ricordarle tramite una seduta ipnotica.

Nebe:
“Che rapporto vi è, allora, tra il nostro subconscio e quella che potremmo chiamare "coscienza collettiva?”
Intercorre un processo di semplificazione dell'individuo, un po' come quando si riduce ogni momento del Tempo ad una più ridotta contemporaneità.”
Secondo me è illuminante il famoso esempio dell'iceberg, di cui è possibile vedere in superficie solo una punta, un'isoletta, o anche più di una. Nulla fa sospettare che le isolette siano collegate tra loro, così come nulla fa sospettare che siano semplicemente parte di un tutto: una massa submarina immensa.
La nostra normale coscienza di veglia si trova sulla punta dell'isoletta. Se, tramite un processo di reintegrazione, reisco a superare il limite della mia individuazione, allora, come nella massa submarina si riunisce la molteplicità delle isole emergenti, del pari la mia più profonda coscienza ha facoltà di attuare in una unità cosciente superiore molte coscienze particolari disperse nello spazio o nel tempo. Nel primo caso (spazio) recupero il Me iniziatico e regale (o forse sarebbe meglio dire il Noi); nel secondo (tempo) recupero il ricordo e la visione delle molteplici esistenze.
In questa condizione le tue conoscenze spazierebbero in infiniti campi, terreni ed ultraterreni. E' per questo che nel vangelo viene scritto: "cerca prima il regno di Dio e tutto il resto ti sarà dato in aggiunta".

Io:
Sono d'accordo. Quindi, quando noi ricordiamo un'esistenza "precedente" nel corpo di un guerriero maya, come sappiamo che l'esperienza in questione è stata "vissuta" dalla nostra stessa Anima e non è, invece, l'esperienza dell'Anima di qualcun altro, cui si ha accesso?
Forse che ad una certa "profondità" non ha più senso parlare di Anime come sostanze distinte o gocce, in realtà fuse nello stesso mare?

Nebe:
Nell'opera progressiva di ascesi, i primi "ricordi" a cui hai accesso sono quelli dela tua Anima. Arrivare a ricordare le incarnazioni di altri significa essersi già trascesi nell'Uno e dunque aver perso ogni forma di individualità...
Viceversa in fase di apertura mercuriale (che può anche essere involontaria nelle persone sensibili) puoi benissimo accedere alla mente di altre persone e leggerne i pensieri, anche i più reconditi.

Io:
E in questo caso non è "necessario" essere trascesi all'Uno. Ma allora.. è possibile che una persona così sensibile possa "confondersi" e ritenere il pensiero di un altro e il ricordo di un altro, un suo ricordo, un suo pensiero?

Nebe:
In prima battuta sarei tentato di dire di no, ma in realtà il "filtro" posto dalla tua coscienza è molto potente, tanto che in un certo ambito, diventa difficilissimo distinguere anche la realtà dalla fantasia, quindi probabilmente è possibile.
In realtà l'unico che può darti un discernimento certo è il tuo demone.

Io:
Con “ipnosi” non mi riferisco a un processo guidato esclusivamente da un secondo attore, qual è il medico, ma anche a uno stato autoindotto. Attraverso l’ipnosi (dal greco hypnos, sonno) il soggetto vive un’esperienza, una situazione che in qualche modo influenza inconsciamente la sua vita determinando spesso disagi che sfociano in malattie psicosomatiche. In particolare attraverso la regressione, il soggetto “spiega” il suo presente con cause precedenti, dà loro forma, suono, odore: “crea”, per così dire, un ambiente ed una situazione idonei a rispondere in qualche modo ai sui disagi (fisici e psicologici), altrimenti nascosti dietro la quotidiana razionalità. L’immaginazione, o allucinazione, permette dunque il riconoscimento di quei quid nascosti e la comunicazione con essi, che in normali condizioni restano compressi come una macchia sigillata, la scatola nera della nostra esistenza non-razionalizzata.
La volontà del soggetto non viene alterata durante l’ipnosi, egli cioè non fa ciò che è contrario alla sua natura e alla sua moralità, egli è consapevole di quanto racconta e se ne sente emotivamente coinvolto, ma è collegato alla realtà: è consapevole di essere in uno stato di trance.
La mente così stimolata, attraverso immagini che la razionalità può comprendere, agisce sul corpo fino a stabilire con esso un dialogo e un rapporto di equilibrio spesso sfociante in un miglioramento dello stato di salute.
In trance la mente focalizza la sua attenzione –si concentra- in un punto “comunicabile” perché descrivibile, cioè riconoscibile come immagine, suono, odore ed emozione (durante l’esperienza è comune per il soggetto agitarsi, sorridere, spaventarsi, tremare, sudare perché egli è il protagonista in quella regia). E’ una reazione spesso sufficiente per liberarsi da un anello di catena invisibile, una specie d’impressione residua.
Come precedentemente dicevo, molti medici utilizzano questa pratica a scopo terapeutico, per trattare fobie e malattie pur non riconoscendo la reincarnazione in sé, anche se diversi medici molto scettici in partenza si sono poi ricreduti. Talvolta, l’ipotesi spazia sulla possibilità umana d’attingere informazioni da una “supercoscienza collettiva”, esperienze, immagini, pensieri di altri. L’attenzione si sposta dunque dall’inconscio individuale a quello collettivo di Junghiana memoria, dove gli archetipi -simboli- precederebbero le esperienze individuali stesse dando anche un valore in qualche modo oggettivo all’istintività.
Una “seduta ipnotica” spesso non è sufficiente a visualizzare queste immagini “di altre vite” per spiegare quella presente, soprattutto in presenza di altri, come un medico, e soprattutto se non è possibile instaurare quel rapporto di fiducia e rilassamento necessari per lasciarsi andare. Perché probabilmente è proprio un “lasciarsi andare” ciò che avviene, uno sprofondare in sé stessi spogliandosi del “presente” fino ad affrontare situazioni, nemici prima invisibili, ora lì davanti, come ad esempio il trauma della “propria morte” o della propria nascita. E per questo motivo, molto spesso i racconti sono traumatici, raccontano violenze subite, sono esperienze devastanti “rivissute” forse per essere comprese, superate, per rimuovere il blocco che esse originano. Interessante è la teoria secondo la quale un determinato problema psicofisico non solo si trascina, nascosto, fin dalla più tenera età (Freud docet) o addirittura fin da vite antecedenti (Stevenson et alii), ma anche geneticamente, trasmettendosi di padre in figlio. Secondo questa teoria, i discendenti di una famiglia sembrano naturalmente portati a rivivere situazioni vissute dai propri antenati: stesse malattie, stessi blocchi, spesso medesime “morti violente”, quasi una sorta di “karma familiare” il cui corso può essere invertito nel momento in cui qualcuno prende finalmente coscienza della propria “sottomissione” a tacite “regole” familiari, liberando sé stesso e i suoi successori, sublimando in positivo le negatività stagnanti sotto forma di preconcetti, ossessioni, predisposizioni a ficcarsi ripetitivamente nelle medesime circostanze. E’ a questo punto che s’inserirebbe il concetto di “atto poetico”, un’azione di “psicomagia” (Jodorowsky) che diviene poesia nel momento in cui serve a creare una nuova realtà per il soggetto, un’esistenza libera dai vicoli ai quali il subconscio invisibilmente conduce, è dunque il disconoscimento dei propri supposti limiti a favore delle proprie infinite possibilità. Ma nell’atto poetico non vi è pura ribellione, vi è la “conversione della realtà”, l’atto poetico promuove solo la vita e non dà come risultato un’azione negativa, violenta, mortale.
Non ho sperimentato né assistito all’ipnosi, dunque le mie considerazioni sulla stessa sono puramente frutto di osservazioni altrui. Nonostante questo limite, io immagino possibile far riaffiorare “ricordi” tramite d’essa, ricordi d’infanzia e perché no, precedenti la nascita stessa. Trovo, per altro, molto stimolanti ed interessanti gli interventi di Nebheptra a riguardo e mi sento in gran parte in sintonia con quanto fin ora ha affermato. Il ricordo di vite passate per ipnosi regressiva, pur rimanendo una possibilità (per me), si riduce a una casistica ridotta e ben difficile da stabilire, soprattutto in termini numerici, sia per l’implicita complessità nel distinguere la “realtà” dal filtraggio mentale che costruisce realtà alternative (come una specie di “pensiero poetico”) sia per l’improbabilità che un esterno (il medico) possa effettivamente sapere, semplicemente ascoltando, da dove il soggetto attinge le informazioni dei suoi racconti.
Krishna nella Ghita dice che Lui da la Conoscenza e l'oblio delle vite precedenti. Quindi io non credo sia possibile ricordarle tramite una seduta ipnotica.

Attendendo eventuali precisazioni, vorrei fare alcune osservazioni che mi portano a una conclusione diversa rispetto a quella espressa da madhur. Per poter far comprendere l’ambito di riferimento anche a chi non è pratico di filosofia indiana, faccio una piccola premessa:
La Bhagavad-Gita (fa parte del Mahabarata) è un’opera poetica che riassume le filosofie delle “rivelazioni” dei Veda (capostipiti del pensiero indiano) e delle Upanishad (via della salvazione). Mentre i testi “sruti” tra cui appunto i Veda e le Upanishad erano destinati a un’élite, i testi epici che narravano vicende di eroi, i cosiddetti “smrti” come i Sutra, Vedanga, Mahabarata e il Ramayana, sono considerati di approccio pubblico.
Le scuole che si fondano sulla rivelazione dei Veda appartengono al ramo della filosofia ortodossa contrapposta a quelle che negano la rivelazione stessa, tra cui la corrente Jaina, il Buddismo ecc. La Bhagavad-Gita è figlia della rivelazione e può essere definito come il “credo” dei fedeli delle scuole devozionali, il vangelo di quanti danno a Dio il potere salvifico, mediante la “Grazia”.
Vi sono innumerevoli sette e scuole, formatesi dai filosofi commentatori delle scritture sacre, che pur appartenendo a una medesima corrente si sono poi contrapposti a precedenti “speculazioni” nel tentativo di evolvere il pensiero indiano, rispondendo anche a questioni che i testi più antichi non affrontavano. Le loro scuole hanno dato origine a diverse distinzioni il cui fondamento principale è dato da dualismo (l’Universo è “corpo” di Dio) e non-dualismo (l’Universo è illusione e non realtà).
Il Vedanta stesso, pur partendo da considerazioni monistiche (non-dualismo) verrà poi ripreso da più mani fino a dividersi in diversi rami, giungendo a osservazioni dualistiche e a vie di mezzo tra le due. Ad ogni modo, uno dei maggiori esponenti del pensiero filosofico indiano, che riprese il non-dualismo vedantico, fu Sankara che si basò all’assoluto monismo.
Personalmente, nelle osservazioni che seguiranno a proposito della sopra citata Gita, prenderò a riferimento la filosofia ortodossa di Sankara, difensore della rivelazione upanishadica, per il quale la dualità, e dunque il mondo sensibile con la sua molteplicità, è pura illusione. Esiste solo l’Essere, quello che noi conosciamo come non-essere è un errore percettivo, è un’illusione (ma non si spiega l’origine dell’errore). Noi scambiamo per molteplice ciò che in realtà è Uno.
Noi consideriamo le individualità invece che “vedere” l’Io Unico.
Questa premessa per anticipare qualche passo, scelto, posso dire, un po’ “a caso”, solo a titolo informativo:

Bhagavad-Gita 15, 15:

Io dimoro nel cuore di ogni essere; da me traggono origine
la memoria, la conoscenza e la rimozione del dubbio;
sono io quel che tutti i Veda rivelano,
io l'autore del Vedanta e il conoscitore del Veda.

4, 5:
Molte sono le mie esistenze passate
e molte sono le tue, o Arjuna;
io le conosco tutte,
ma tu non le conosci, o Paramtapa.

4,6:
Pur essendo non nato, Spirito inalterabile,
pur essendo il Signore degli esseri.
facendo ricorso alla mia propria natura
io mi manifesto grazie alla mia maya.

Krishna è la forza divina che genera sé stessa nel mondo per ristabilire l’ordine: pur contenendo gli attributi divini di Brahman, egli si incarna, in altre parole, non è estraneo al mondo sensibile, ma dimora nel cuore di ogni essere, è nel profondo di ogni essere. In interiore hominis habitat Veritas, sosteneva Sant’Agostino, così come, nelle Upanishad, Dio è il principio invisibile immune da tempo e spazio e in tutti presente. Nel Loto del Cuore, spettatore delle azioni umane (perché principio intelligente e cosciente non attivo) è pura energia o “atomo” -Anu.
L’incarnazione di Krishna permette l’ordine, perché Egli indica la via da seguire, dell’amore, della conoscenza. Quindi l’uomo, pur immerso in condizione d’illusione, può giungere a Conoscere, (grazie all’aiuto di Krishna, cioè di quell’aspetto del divino Brahman che la carne-illusione comunque contiene) attraverso la realizzazione mediante ascesi del Sé stesso. Dunque, dall’illusione-molteplice ci si Risveglia alla Realtà-Uno seguendo la Luce nel profondo del cuore, come una guida che ci esorta a seguirla distruggendo l’Ego sul campo della nostra battaglia interiore.
“Le vie del Signore sono infinite”: per raggiungere questo ricongiungimento vi sono molte vie e nessuna esclude l’altra, non vi è intolleranza fra loro. Lo Yoga, scuola ortodossa fondata sulla rivelazione, afferma però che l’uomo ottiene la liberazione della Conoscenza attraverso vere e proprie discipline che educano la mente (Citta) liberandola dalle “engrafie” (codifiche di informazione nella memoria) del passato e dalle sue tendenze. In particolare, lo yoga si basa su tecniche di concentrazione e respiro che inducono a stati auto suggestivi ed auto-ipnotici, giungendo al controllo della volontà altrui e a esperienze cosiddette “paranormali”.
Il Veda racconta di un seguace di Rudra che beve dalla coppa di Dio e vola in estasi nell’aria e vede il destino di tutti gli esseri (Veda, X,136).
La Bhagavad-Gita stessa fa grande riferimento alla pratica dello yoga come strumento di conoscenza. Dunque, personalmente, ritengo che pur partendo da presupposti diversi le “indagini psicologiche” effettuate dallo yoga abbiano alcuni punti comuni con l’ipnosi non yogica, per lo meno per ciò che riguarda alcuni suoi (primi) risultati.
Vorrei aggiungere che la permanenza di “impressioni” da una “precedente vita” a un’altra o a un intero “clan” familiare, non è una teoria così diffusa e accettata. Pur non condividendo in toto le spiegazioni di L.M.A. Viola, tengo a riportare alcune sue interessanti considerazioni a completamento di questo discorso. Egli evidenzia che la Psiche, da considerarsi il riflesso dell’“atman” o della “persona divina primordiale” e principio del somatico, s’incarna dopo la morte del corpo (e dopo successivi “stalli”, la cui spiegazione eventualmente richiederà un nuovo argomento) ma non mantenendo un’identità psicofisica, un ego somatico permanente, ma “trasferendo qualità e opere da un misto psicofisico a un altro”. Il Nous, il principio, Sole, pur rimanendo in sé si riflette nella Psiche, la Psiche, pur rimanendo in sé si riflette nella temporalità. L’Essere divino rimane in sé pur riflettendosi nella molteplicità. Questo sistema, dunque, nega una reincarnazione così come generalmente è intesa, in altre parole, come il recupero dell’Io precedente.
A questo proposito trovo similare la considerazione di Sankara per il quale il manifesto è illusione e non vi è dualità. Mi sento di aggiungere che l’assenza di dualità, e di risposte inerenti alla questione, non è un limite dei Veda indiani, ma un’antica attitudine, che precedette anche le Upanishad, a non considerare affatto (cedendo all’errore) la partizione di Essere e Divenire, che implicitamente conduce a considerare l’uomo un contenitore limitante il principio illimitato che non si sa perché inizia a manifestarsi.
Quindi, l’Essere personale universale o Hiranya-garbhao, Aureo Germe sinonimo di Agni, Rudra e Brahma, appare plurale, ma in realtà è Uno.
Il ricordo nell’esperienza ipnotica, dunque, sarebbe l’espressione d’illusioni “alternative”, tuttavia, attraverso la purificazione (e l’uso-orientamento “ragionevole” dell’Intelletto) vi sarebbe una progressiva perdita d’individualità anche in queste visualizzazioni, che condurrebbe all’immedesimazione nella totalità e per semplificazione, e per stadi, all’Uno.

Beppe:
Pitagora parla della reincarnazione e racconta quelle che furono le sue vite passate, inoltre prevedeva anche l'eventuale incarnazione in animali, raccontano alcune fonti che un giorno vedendo un uomo che malmenava il suo cane gli chiese cortesemente di smettere, poiché riconosceva in quel cane un suo vecchio amico morto anni addietro.

Io:
Secondo Viola, le testimonianze di Pitagora o del Buddha non si riferiscono ai singoli Ego somatici e "transeunti" o a singole psyche re-incarnate in individui, ma all'Essere Personale Universale che appare al plurale quando in realtà è Uno.

Francesco:
“all'Essere Personale Universale che appare al plurale quando in realtà è Uno.”

Perdonami ma frasi del genere con tutta la pazienza che si può avere non potranno mai essere chiare!!!!!
L'Essere è l'Essere......quindi non è né personale ne universale ma è al di là di entrambe le condizioni.
Ciò che appare, non può essere Unità perché le apparenze fanno parte del mondo che diviene!
Queste semplici osservazioni non sono volte a polemizzare o a denigrare le riflessioni di nessuno, semplicemente vogliono fare intendere che certe discussioni probabilmente non possono essere affrontati verbalmente. Si consideri che il Divino Pitagora utilizza i numeri (simboli) per fare intendere le cose; e lo stesso fa la Cabala.
Perfino Plotino e lo stesso Platone su alcuni temi arrivano ad un punto di stallo.
Quindi buona discussione.....
Diciamo che l'Essere è espressione dell'Uno Iniziale e Finale di Platone, ma Esso quando si individua in una porzione di sé può innestarsi in una persona ai fini didattici.
e quindi abbiamo il Buddha o un Pitagora o un Apollonio di Tiana.
NON una re-incarnazione ma una Individuazione di un Principio Primo.
Mi scuso con te e con coloro che stanno partecipando direttamente e non alla discussione se l'intervento in questione non è stato esplicato a sufficienza.
Non si voleva alludere all'inutilità della parola in quanto mezzo del dialogo, semplicemente si voleva far riflettere che la stessa parola ha un suo campo di azione. Esaurito questo subentra il simbolo (ivi compreso il numero nell'accezione pitagorica) quale mezzo di comunicazione che opera per sua natura su piani diversi....forse più sottili. Alla fine anche il simbolo esaurirà il suo compito per lasciare spazio al "silenzio", tanto caro allo stesso Pitagora, ed è allora che il Re avrà messo la sua corona unendo Kether a Malkuth e sarà pronto per il suo viaggio verso l'Ain Soph Aur (la luce assoluta non manifesta)..... ....di nuovo buona discussione e scusate il fuori tema.

Io:
Anche l'India spiega diversi passaggi, perfino della meditazione yogica-respiro- attraverso simboli come figure geometriche. Ma non potendo farvi dei disegni.. ho optato per la parola.Sui simboli si può aprire un altro argomento specifico, anche se non sono quel che si dice un'esperta forse potrei essere utile.
“..ed è allora che il Re avrà messo la sua corona unendo Kether a Malkuth e sarà pronto per il suo viaggio verso l'Ain Soph Aur (la luce assoluta non manifesta)....."
Non che questa frase pulluli di chiarezza. Comunque non sei proprio fuori tema, o meglio ormai lo siamo entrambi.. l'Unità Enadica è la sintesi di Essenza ed Essere, nelle Enadi potenzialmente sussiste allora anche la Triade, quello che la Cabala chiama Ain Soph Aur, Kether, Daath, una tradizione Indu chiama Parabrahman, Brahman Nirguna, Brahman Saguna, la tradizione greca chiama Ouranos, Chrònos, Zeus e quella romana Ianvs, Saturnvs, Iupiter. Ognuno di essi è il rilfesso della coscienza che li "precede" in tale ordine. Questo perché l'Essere contiene un "seme", punto, archetipo, che racchiude le illimitate potenzialità..

Beppe:
“quella di Pitagora era una battuta”
Hippolytus Refutatio
Empedocle diceva che tutte le anime trasmigrano in tutti gli esseri viventi. In effetti, il loro maestro Pitagora...
La visione di Empedocle riporta un aspetto della dottrina pitagorica , rilegendo Diogene Laerzio non colgo l'aspetto goliardico dell'affermazione del maestro:"Senofane testimonia che Pitagora sia rinato sotto diversi aspetti; ecco quel che dice lui: E narrano che una volta passando per dove maltrattavano un cagnolino, mosso a pietà avesse detto queste parole: smetti di battere, poichè è certo l'anima di un mio amico, l'ho riconosciuto sentendone la voce". Diog. Laerzio Fil. Bion.
Certamente come battuta sarebbe molto simpatica, ma penso che Senofane, riportato da Diogene, avrebbe specificato se si fosse trattato di una battuta o meno, ma anche tralasciando ciò il fatto che fosse mosso a pietà indica non solo una sensibilità del maestro verso gli animali, ma anche (almeno questo è ciò che vuol far apparire Diogene) ch'egli credesse che anime umane potessero trasmigrare in animali.
Personalmente non ho mai creduto in una simile forma di reincarnazione, ma essendoci qui il vero "ipse dixit" provo a pensare che probabilmente uomini debosciati ed animaleschi possano fare un passo indietro e reincarnarsi in un animale, così come altri possono fare il passo avanti ed incarnare esclusivamente il daimon od incarnarsi in esso in un'apoteosi.
Gli antichi credevano nella metempsicosi. Basta leggere i miti in modo letterale, dove si vedono Dei assumere sembianze di animali e trasformare uomini in bestie e piante a piacimento.
A me e' comunque sembrata una battuta per il modo in cui Pitagora dice di aver riconosciuto il "Nome" dell'anima del suo amico: passando per caso, dalla sua voce, ovvero dai guaiti del cane. L'ho interpretato come un modo di fermare il bastonatore, simpatico ed autorevole al contempo, visto che ai suoi tempi era considerato certamente come un esperto in materia.
Volendo approfondire la questione va detto che esiste una categoria di esseri a metà tra gli uomini e gli animali, ovvero gli elementali. Se un uomo affonda nel vizio, in genere ha comunque un'inclinazione preferenziale, la lussuria ad esempio, o l'ira e la violenza sfrenata. Se il suo sprofondare è tale da non essere neanche lavato dal fuoco della "frustrazione" nel post mortem, significa che è totalmente ed irrimediabilmente sbilanciato verso un elemento particolare, l'Acqua per la Lussuria, ad esempio, o il Fuoco per l'Ira. Significa essere davvero abbrutiti a tal punto da essere abbandonato dai demoni. In termini animici, la sua frequenza vibrazionale lo trascinerà inesorabilmente verso il piano degli elementali.
Come elementale, se ha fortuna, potrà "congiungersi" con un anima umana e ritornare immortale, se no finito il suo ciclo vita morirà, riassorbito nella corrente astrale, a meno che non riesca ad "aggrapparsi" in estremis all'anima di un animale, cosa assolutamente non facile perchè gli animali sono molto più equilibrati di noialtri e difficilmente hanno propensione verso l'uno o l'altro elemento.
Mi scuso per la brevità e l'imprecisione con cui ho espresso questo concetto, ma sono di fretta e spero di essere stato chiaro comunque.

Io:
Sono un po' stanca, ma partecipo alla discussione per dire che ho letto ho letto qua e là che le anime non "retrocedono" a stati animali o vegetali, perché quello che hanno conquistato in precedenti meriti-maturazioni, se lo tengono, non viene portato "via".
Semmai, si incarnano ancora e ancora in corpi adatti a comprendere e a superare i limiti dei vizi. Alcune sapienze indiane, forse interpretate da un commentatore di cui non so adesso riportarvi il nome, dicono proprio questo, che non viene tolto ciò che prima ci si è guadagnati, il problema è piuttosto "lo stallo".

Stefano:
Probabilmente uomini debosciati e animaleschi possano fare un passo indietro e reincarnarsi in un animale, così come altri possono fare il passo avanti ed incarnare esclusivamente il daimon od incarnarsi in esso in un'apoteosi.
Nelle dottrine Induiste è così, la reincarnazione animale sarebbe quasi un favore per permettere una ripresa dell'evoluzione di una persona e anche per permettergli di vivere nel modo che più lo aggrada.

Beppe :
Ovviamente viene da pensare che la logica della legge di reincarnazione sia come espressa da Stefano (che riprende dagli induisti), ossia legata all'evoluzione dell'individuo.

Io:
Numerose sono le sfumature esistenti nel pensiero indiano.
Secondo quanto ho potuto capire, non è assente in India il concetto di metempsicosi, differente da quello di reincarnazione classico vedico, secondo cui esiste una “inversione di marcia” rispetto alla naturale evoluzione dell’anima.

Francesco2:
Pitagora parla della reincarnazione e racconta quelle che furono le sue vite passate, inoltre prevedeva anche l'eventuale incarnazione in animali, raccontano alcune fonti che un giorno vedendo un uomo che malmenava il suo cane gli chiese cortesemente di smettere, poiché riconosceva in quel cane un suo vecchio amico morto anni addietro.
Dunque è possibile, nell'ottica pitagorica, che l'anima incarnata in un uomo, alla dissoluzione del composto fisico "retroceda" al regno animale?
E' interessante rilevare l'evoluzione storica del concetto di trasmigrazione delle anime: l'idea sopra riportata sembra appartenere, ad esempio, al Bruno della "Cabala del Cavallo Pegaseo", mentre è estranea quantomeno ad alcuni passi del Corpus Hermeticum, vedi ad esempio Discorso X di Ermete Trismegisto detto "La Chiave", paragrafo 19: "L'anima dunque, anche se non ogni anima ma solo quella pia, è qualcosa di spirituale e di divino. Tale anima, separatasi dal corpo e combattuta la lotta della pietà [...] diventa intelletto nella sua propria interezza. L'anima empia invece resta nella sua propria essenza, punita da se stessa, in cerca di un corpo terreno in cui entrare; comunque sempre un corpo umano, poiché un altro corpo non può contenere un'anima umana e Dio non permette che questa cada nel corpo di un animale privo di ragione. E' una legge divina ("theoù [...] nòmos"), infatti, questa di proteggere l'anima da un tale oltraggio."
Peraltro va detto che il Corpus si contraddice in più punti (il che implica, forse, la stratificazione di più "mani" nella sua compilazione nel corso dei secoli): ciò accade ad esempio nel medesimo Discorso sopra citato, al paragrafo VIII, ove si sottolinea il concetto di condanna dell'anima "malvagia" - "kai àutee katadìkee psychèes kakèes"; v. anche Asclepio, par. 12.
Al di là di tutto questo mi chiedo spesso: quando avviene la cosiddetta (volgarmente) "reincarnazione"? In chi avviene? (il Corpus afferma che il Nous non è presente in tutti gli uomini indistintamente: si rifletta su questo) Con quali modalità? E soprattutto: che cosa si "reincarna": l'anima? Se sì, "quale"?
Alcune riflessioni.
Alcmeone di Crotone (Fr. A 12 Diels):
“L’anima è immortale per la sua somiglianza con le cose immortali.”

C'è chi dice che Alcmeone fosse un razionalista, un PItagorico "sui generis" (si pensi ad affermazioni come: “non la vita organica soltanto, ma anche la vita superiore, morale e intellettuale, è prodotta dal corpo. Infatti, abbiamo visto ch’egli la fa provenire da un organo fisico, il cervello; il quale, per mezzo del movimento, di cui ha il possesso, secerne le sensazioni, secerne la volontà, secerne il pensiero. Tutte le funzioni, dalle più umili alle più elevate, non sono se non proprietà del corpo: si identificano quasi con gli organi di esso; mutano col mutare delle condizioni in cui esso si trovi, muoiono in esso e con esso.” - A.Rostagni, Il Verbo di Pitagora, Victrix, pag. 74): lo stesso Rostagni confuta questa tesi, rilevando come nel frammento sopra citato (Fr A 12 Diels, ricavato da una citazione di Aristot., De Anima 12, 17, 405 a, 29), Alcmeone affermi a chiare lettere che l’anima è immortale: non è dunque a questa anima che il nostro si riferisce nel sancirne la filiazione dall’organismo umano, e segnatamente dal cervello, bensì ad un’altra Anima, della cui esistenza aveva con ogni probabilità appreso nell’ambito dei Misteri Orfici. È questa, e non la prima, l’oggetto principe della speculazione pitagorica che nasce, ed in quanto dottrina iniziatica non può non nascere, sempre dalla contemplazione, theorìa.
Allora quest’Anima (immortale, divina, non di natura fisica), che pure i Pitagorici chiamavano Psyché alla stessa maniera di quella somatica, dai Greci era propriamente detta Dàimon, ente paragonabile al Genius (per gli uomini; Iuno per le donne) dei Romani ed inteso come scintilla divina nell’uomo:

“Tutta l’aria è piena di anime, ed esse sono ritenute demoni ed eroi (daimonàs te kai éroas nomìzesthai).” (Diog.Laerz., Vita dei Filosofi, VIII, 32)

Stando così le cose, allora l’altra anima (mortale, “fisica”, transeunte), l’altra psyché altro non sarà se non quella che l’Autore chiama “anima somatica”: vale a dire il complesso psichico di cui si è detto sopra, comprensivo di sensazioni, volontà, pensiero e prodotto dall’organismo stesso per tramite dell’apparato cerebrale. Questa anima è da considerarsi come strettamente legata alla vita del corpo e non l’altra, immortale, cui il corpo -sòma- è carcere (“Igneus est ollis vigor et caelestis origo / seminibus, quantum non noxia corpora tardant / terrenique hebetant artus moribundaque membra. / Hinc metuunt cupiuntque, dolent gaudentque, / neque auras dispiciunt clausae tenebris et carcere caeco”.

lunedì 29 settembre 2008

Il soffio vitale

Vi sono forze vitali, nell'uomo, legate alla consistenza materiale, dunque sottoposte alla morte, e vi è la forza vitale immortale. Il sangue, almeno in alcune concezioni greche, sprigiona (nel vapore del sangue caldo versato, cosa sconosciuta agli dei immortali che perdono semmai ICORE) la "forza vitale" che ha sede nel cuore, inteso come sede dell'anima e di affetto (dunque legato alla sensazione e al sentimento che come detto precedentemente sono legati al respiro: in Omero, infatti, non serve versamento di sangue per perdere tale forza vitale che evidentemente si perde attraverso l'espirazione). Questa forza vitale pensa, prova sensazioni, spinge all'azione e si muove. Situata nella zona del petto, infatti, è contenuta in un organo talvolta descritto come “nero”. Un'interpretazione da' al diaframma il compito di contenere tale forza e si spiega così l'affermazione "avere il diaframma nero per la collera" che ancora oggi sento simile nella frase "avere l'anima nera" (per la collera). Essendo mobile, la forza usufruisce delle arterie e di tutti quei canali che il mondo classico conosceva e descriveva come una ramificazione (la medicina moderna stessa parla dei rami bronchiali) e, infatti, usava termini tipici del linguaggio vegetale (germogliare il pensiero). La mente, in questo caso, sarebbe appunto nei polmoni. Interessante, poi, è notare come viene data la consistenza "umida" al sonno: questi polmoni, o qualunque cosa si intendesse con quell'organo che contiene la forza vitale nel petto (per Platone i polmoni racchiudono il cuore perché fungono da cuscino) dicevo, questi polmoni sarebbero efficienti e dunque darebbero coscienza ed intelligenza da "asciutti". Il sonno e l'ubriachezza intorpidiscono l'uomo umidificando quell'aria, quel respiro vitale. L'umidità rende l'uomo preda dell'esaltazione (lymphatus) come accade alla Baccanti deliranti in balia di una mente lymphata o come accadrebbe quando si vede una ninfa dell'acqua e non a caso, poi, bevendo dal Lete si ha l'oblio, un effetto mentale. Nonostante questo, il sapere sarebbe dato dalla forza che corre naturalmente nel corpo, aeriforme sotto forma di "respiro" o come liquido o come aria contenuta nel liquido sangue. Assumere liquidi estranei produrrebbe effetti negativi, anche se come riportavo precedentemente assume un ruolo fondamentale il seme, contenuto nella testa, nel cranio, e nella spina dorsale che non sarebbe altro che la parte divina del midollo. Il seme, connesso con la creazione sarebbe insomma legato perfino allo starnuto, manifestazione del divino, entrambe contenute nel capo, parte prioritaria dell'uomo, ed entrambe connesse alla vita. In tale concezione, l'assunzione di vino, seme della vite, è considerata in modo positivo: mentre la forza vitale naturale mortale ha centro il cuore (il petto in generale, per i romani) la forza vitale ispirata dal Genius ha centro il capo. Dunque, se da una parte il vino intorpidisce il pensiero e l'intelligenza dei polmoni e del petto ivi contenuto, o il diaframma o qualsiasi altro organo implicato, dall'altra parte il vino esalta quel flusso ispirato dal proprio Genius direttamente in testa al quale conseguono azioni, ispirate, appunto.La testa è il principio (Zeus), "mangiare fave equivale a mangiare la testa dei propri genitori", cioé nutrirsi di un ovulo, ricettacolo di un seme, non era consigliabile per non nutrirsi di forza vitale (immortale, centro la "testa") laddove aveva sede.

sabato 27 settembre 2008

L'ispirazione divina

Nella tradizione greca, il soffio era considerato come una conoscenza, un pensiero e la sua sede era la testa (caput). Gli Dei "ispiravano" o "soffiavano dentro" nel cuore dell'uomo. Bisogna considerare che sentimento ed emozione sono strettamente connessi alla palpitazione e quest'ultima al respiro. Quindi, gli Dei pongono ardimento, audacia quando "ispirano" l'uomo e soffiano "menos" (μένος) o forza vitale (esempio: Atena soffia "forza vitale" a Odisseo ed egli cominciò a colpire a destra e a sinistra contro i Traci addormentati). Non solo in Omero ma anche in Euripide "essere di animo alto" letteralmente è "emettere grandi respiri", Pindaro "emettere mediocri respiri" sta per "pensare pensieri meschini".. ecc ecc. Si comprende, allora, come l'anima-respiro passi dai polmoni ma si introduca dai canali della testa (orecchie, bocca, naso) che attraverso la respirazione giunge al petto e dunque anche al cuore, sede del sentire e del pensiero. Il caput è la sede della vita, dell'anima, del principio vitale della persona, con cui va ad identificarsi. Da qui la pratica della decapitazione come metodo per uccidere il nemico, per togliergli la "vita". Esempio, Achille dice che onorava Patroclo al pari della sua testa (Iliade, XVIII, 82). Pare che i popoli germanici appendessero teste agli alberi per il medesimo motivo, i Norreni pensavano che la testa scendesse nel regno della morte. I Celti ritenevano che la testa contenesse l'anima, e così come per i Greci, lo starnuto (emissione improvvisa di aria, indipendente dalla volontà cosciente) era considerato un segno profetico proveniente da una potenza dotata di conoscenza "altra". Anche in Catullo lo starnuto è un cenno di (o meglio "dal") capo (XLV. Acmen: "hoc ut dixit, Amor sinistra ut ante, dextra sternuit approbationem/ Come disse così, Amore starnutì a sinistra un'approvazione, come prima a destra).
I capelli stessi assumono dunque un significato importante: venivano ad esempio offerti (Achille offre i suoi capelli) considerati, letteralmente, come le foglie delle piante nutrite dalla linfa, che nel nostro caso, sono direttamente nutrite dalla sostanza vitale risiedente nel capo (sede del GENIUS: nutrirsi in abbondanza e bere vino-liquido del seme della vite- serviva a compiacere al proprio Genius e da qui l'importanza del "festum geniale"). Medesimo discorso per la barba che rappresenta la forza. L'uomo peloso era ritenuto vigoroso, virile. Il seme, infatti, si produrrebbe, come per le piante con le foglie, insieme al capello.
Il cerebrum-cervello (da “cereo”, genero) contenuto nella testa-caput (elementi di potenza: barba, corna, capelli), conteneva il seme, collegato alla figura di Ceres, dea della fertilità, che s’identifica con il seme posto sulla cima-testa della spiga. Secondo lo studioso Onians, vi è un chiaro nesso tra il “gramen” e Marte-dio della virilità, della potenza generativa nella fertilità.
Al Campo Marzio, la celebrazione del “cavallo d’ottobre”, per favorire un raccolto abbondante, richiamerebbe appunto questa divinità che sarebbe raffigurata nel fascio d’erba, laddove l’aquila rappresenta, invece, Giove. Negli Emblemata di Andrea Alciato (1492-1550), per fare un esempio, si richiama tale collegamento -Gramen cur Marti- “Marti vero sacrum est, quia ex gramine ortus esse creditur” .. “In Campo Martio copiosum gramen crescebat.. Martiali praemio donabatur … Te per gramina Martii” (forse la “corona graminea”, veicolo di sacralità).
Nella Quabbalah stessa, la forza è associata al seme proveniente dal cervello.

venerdì 26 settembre 2008

Il libero arbitrio

L'uomo si potrebbe sentire una specie di vittima poiché in lui è il dio che ispira un'azione o l'altra. Si sente dunque l'attore di una decisione divina in un teatro umano in cui il fatalismo assume un'importanza concreta, reale. Se si perde ad un combattimento, Zeus vuole così. Inutile (o comunque non raccomandabile) insistere, lecito piangere, ciò non toglie onore o virilità. Il dio smuove delle forze mettendosi allo "stesso piano" dell'uomo, cioè arrivando ad agire nel mondo che l'uomo conosce ed in cui svolge la sua esistenza materiale. Gli dei "filano" il destino dell'uomo. Questo filo in qualche modo lega, cioè vi è un legame tra l'esistenza e le decisioni e il fato stesso, tuttavia, l'uomo può decidere da sé: restare a casa o morire in guerra? Non la vedrei come la scelta bene-male, anche se gli Dei probabilmente sorvegliano tutte queste scelte umane, per farle restare entro il binario del fato (cosa è bene e cosa è male? Meglio vivere a casa o meglio morire gloriosamente? In ogni caso solo al profeta, al veggente, è dato di sbirciare nel futuro facendosi un’idea di quanto accadrà). Sulla predestinazione e sulla libertà assoluta, si potrebbe, anzi, pensare che perfino gli dei non siano propriamente “liberi” di muoversi, in effetti, Zeus è colui che ha in mano le redini di tutti questi legami, stretti attorno alla materia ed alle scelte umane. Le Moire, le Norne, muovono questi fili pur sempre sottoposte, facendone le veci, al Padre degli Dei. Le azioni ed i compiti degli Dei restano comunque sottoposti alla Legge primaria che è la decisione di Zeus, che muove l'ago della sua bilancia e decide. Anche le Norne norrene della battaglia filano e dunque legano il destino di uomini ed eserciti. Alla nascita all'uomo è assegnato un "filo", il fato; la tessitura, poi, essendo attività femminile è collegata alla donna (e specificamente al momento del parto) e dunque sono di sesso femminile le tessitrici del destino (non solo un legame ma una vera e propria tessitura). Come con le trame di una stoffa l'uomo può scegliere di andare in un "quadrante" o in un altro, ma alla fin fine la libertà ha dei limiti, i limiti del "pezzo di tessuto" in cui l'uomo si muove. Qualunque possa essere l'immaginario che ne nasce, anche nella tradizione vedica il Fato lega con la corda l'uomo a malattie, a cattive sorti e alla morte, e preghiera e sacrificio servirebbero dunque a slegarsi da simili "trame".

In che senso il "nome"?

L'uomo agisce con gli eventi e non ne è soltanto uno spettatore ricettivo perché si pone ad attore nel momento in cui "nominando" ("descrivendo") egli "crea" una determinata situazione, un'immagine ben precisa, "forma" un "quadro", legato però alla sua percezione personale degli eventi e delle cose, percezione "limitata" alla natura umana e dal proprio grado evolutivo. In un certo senso, comunque, l'uomo entra in contatto con questi eventi, cose, luoghi e con le loro energie nel momento in cui, assorbendone le caratteristiche e fissandole attivamente nella descrizione fatta di parole, immagini, pensieri e azioni, comunica con esse.

giovedì 25 settembre 2008

La potenza in atto, Anna Perenna come Shakti

Per quanto riguarda la tradizione occidentale, si è già detto che Anna è collegata all’acqua: ritrovamenti archeologici e indizi etimologici ci orientano e rafforzano questa ipotesi. Inoltre, è stato detto che Anna è assimilabile al concetto di nutrimento e mentre per alcuni questo riconduce direttamente al culto lunare e dunque anche alla Grande Madre intesa come nutrice cosmica, per altri la corrispondenza non sarebbe così univoca, essendo il pantheon occidentale più specifico, presentando, infatti, figure come Ceres, molto più facilmente riconducibile alla ciclicità delle stagioni lunari e solari, connesse alle funzioni stesse della dea. Se Anna (Perenna) rappresenta il nutrimento ed è connessa all’acqua, elemento vitale per eccellenza, possiamo qui notare una corrispondenza con l’Anna della Tradizione vedica. Se il cibo è sacrificio, perché viene consumato (bruciato in noi tramite Agni) determinando energia vitale, è il Soma-bevanda sacra (la cui preparazione e libazione al fuoco sacro costituiscono gran parte della liturgia vedica) che simboleggia nella ritualità la Vita Universale nelle sue funzioni di sperma (dono di vita)-respiro (prana, o energia vitale)- pensiero (manas, mente=luna).Il Soma (bevanda stimolante ed inebriante identificata con ambrosia e miele), e dunque anche il rito a esso legato, è connesso ai periodi di digiuno rituale degli asceti e anche alle fasi lunari per il ciclico accrescimento e diminuzione della Asclepias acida (?) spremuta nella preparazione.
La Luna, o Mente, è la coppa ricettiva del seme della vita, lo "specchio" (simbolicamente assimilato alle acque) in cui si riflette la Fonte Primordiale di Luce che rappresenta la Vita eterna, immortale. Nella tradizione hindu, Annapurna è "la dispensatrice di cibo" e "la luce che sazia ogni essere" (alimento spirituale): la Luna o Mente (pensiero, una delle facoltà del Cuore) è la coppa dell’offerta sacrificale o sperma o sostanza vitale. Dice il Mahabharata che l’Universo è fatto di Fuoco (Agni) e di Offerta (Soma), in altra parole, tutto quanto contiene vita è offerta, cioè l’alimento è un principio universale, con l’alimento viviamo e alimento diveniamo con la morte del corpo(Taittiriya Upanishad). Il concetto di Divoratore-Divorato-Sacrificio è dunque l’esistenza manifestata del Cosmo. Anna è dunque l’offerta che nel sacrificio (Apas, da Ap=le acque primordiali, caos) viene restituita al mondo divino (Karma, azione è anche "atto sacrificale", quindi in un certo senso, la vita mortale stessa rappresenta nutrimento divino), è energia infinita e poiché il nutrimento sacro è nettare d’immortalità, si accompagna alla Sapienza. E’, infatti, soltanto attraverso la Conoscenza (Vidya) che si giunge alla liberazione e dunque al mondo degli Dei. Da notare che l’accoppiamento è considerato sacrificio cosmico, è attraverso l’accoppiamento che il seme si colloca nel grembo-coppa della donna e in alcuni metodi di yoga, come il Tantra Yoga, è attraverso l’energia sessuale che si compie la liberazione (la dualità si fonde).
Secondo le Upanishad, l’interpretazione mistica del sacrificio vedico inizia con la meditazione Aranyaka, "silvestre" (da Aranya, foresta e Arani, pezzo di legno, uno dei due pezzi impiegati per accendere il fuoco sacro e simbolicamente foggiati come vulva e pene). L’Universo nasce dalla fusione della coppia Shiva (Suprema Conoscenza, "Io") e Shakti (sposa, potenza, l’attivo del dio che opera- di evoluzione o d’involuzione, l’"Io sono"). Secondo Viola, le ierogamie divine indicano sempre dei passaggi dalla potenza all'atto di possibilità inerenti al principio attivo, al Dio in questione. La fusione del Cosmo è l'energia della felicità che si manifesta come realtà "vibrante" e come nel macrocosmo così si ripete nella realtà dell'uomo ("ciò che è in alto è come ciò che è in basso e ciò che è in basso è come ciò che è in alto"). Inoltre, hvumvs, hvmi o ksvmvs esprimono proprietà che umidificano il seme, che lo portano a germinare, quindi che esprimono il passaggio dalla potenza all'atto. Il passaggio dalla potenza all'atto simbolizzato dalla ierogamia divina è quanto si esprime, dunque, nell'offerta sacrificale. Anche Anna Perenna intesa come Shakti di Marte è la manifestazione di questi e diviene, quindi, la sua "potenza in atto". A marzo, la natura si risveglia, grazie al sacrificio (si pensi ai semi che si rompono, subendo una loro morte, nel ricettacolo cui sono stati destinati per dare vita a nuove esistenze (nuove possibilità del mondo sensibile, piante implicite ma non ancora esistenti nel seme); in quel periodo, dunque, vi è un rinnovarsi -ciclico e perenne- della materia rigenerata, della natura e degli uomini il cui Spirito si eleva tramite la purificazione del corpo.
Perché Anna Perenna dovrebbe prendersi gioco di Marte nascosta dietro un velo che cela la sua vera natura? Forse perché così facendo ricorda che la luce nel Soma-Seme si occulta, l’essenza della Fonte di Luce, cioè, non è ancora rivelata, il seme è la potenzialità della vita eterna, vero veicolo divino, un “signvm” divino (Sig-Nvm, concetto che, ricorda Viola, riconduce a Sym-Bolon, cioè la connessione, l’adesione, l’unione che potrebbe anche richiamare la forza d’attrazione venusiana).Il Signvm supera l’illusione data dall’essere il riflesso della sua Causa, il causato si eleva alla causa, il prototipo al suo archetipo, e lo fa rimuovendo il velo dell’ignoranza per mezzo dell’Anagogia (elevazione). Infatti, tutto ciò che esiste ha il suo principio nell’Intelletto divino, è la ragione seminale di Dio, la Verità che concepisce "Signa" nella Mater ricettiva, materia. In un certo senso, si può comprendere perché il possibile concetto fondatore del mito di Anna Perenna non è poi così lontano da una certa considerazione sulla Grande Madre e sul ruolo della Luna come specchio della luce della Fonte.E’ per mezzo di Pronoia Minerva (Pronoia=unità dell’essere che opera affinché la sua identità permanga nell’Essere) spiega Viola, che ogni cosa corrisponde alla Mens, in quanto viene custodita conforme alla sua Idea. Sarà poi il Fatum a concatenare le cose in un "ragionamento divino perenne", mentre Mercurio penetrerà l’essenza della Ragione Universale per permettere l’accesso alla sede degli arcani. Mercurio, che nella tradizione indiana è figlio della luna, del Soma.

Anna Perenna

Alle idi di Marzo, mese di Marte, che tradizionalmente corrispondeva alla luna piena, veniva festeggiato il festum geniale con una scampagnata nei pressi del ponte Milvio sulla via Flaminia.La lunazione di marzo corrispondeva al nuovo anno. La folla si trovava per la festa a ballare e danzare sui prati, alcuni si accampavano con tende e rustiche capanne ed il clima ormai tiepido favoriva questo avvenimento. Nei Fasti, Ovidio racconta che il vino scorreva a fiumi e s’iniziavano poi danze frenetiche e canti imparati a teatro. Macrobio scriveva che nello stesso giorno si andava a “sacrificare in pubblico e in privato per Anna Perenna”, “per poter passare felicemente da un anno all’altro (annare) e compiere bene tutto l’anno (perannareque comode)”. Chi fosse la dea Anna Perenna è ancora un mistero, anche se sono nate alcune leggende, in quella che segue Anna assume lo stato di ninfa.Ovidio raccontava che Anna fosse la sorella di Didone, partita da Cartagine invasa dai Numidi raggiunse Laurentum e fu accolta da Enea ma Lavinia, sposa dell’eroe troiano si ingelosì e tramava contro di lei. Didone apparve in sogno ad Anna esortandola a fuggire e così fece. Le sue orme portavano presso il corso d’acqua e la leggenda dice che Numicio l’abbia rapita tra le onde. Quando Enea raggiunse le rive seguendo le tracce lasciate da Anna si dice che Numicio abbia fatto tacere ogni fruscio d’acqua e pare che si udì “Sono ninfa del placido Numicio, nascosta nell’onda perenne, son detta Anna Perenna”. In un’altra leggenda Anna era raffigurata come una vecchia che viveva a Boville, attuale Frattocchie sull’Appia a circa 20 km da Roma. Anna avrebbe sfamato con focacce la plebe che si rifugò nel 494 494 a.c. sul monte Sacro in protesta per le ingiustizie subite dai patrizi. Per questa perenne assistenza (perennem operam) venne eretta una statua in suo onore. Pare che in questo caso Anna fosse la personificazione dell’annona (da annus) la cui funzione pubblica era di assicurare distribuzione del grano agli abitanti della città. La terza leggenda spiega perché in questa occasione i canti delle fanciulle raccontassero episodi osceni. Si dice che Marte era innamorato di Minerva la quale gli sfuggiva. Poiché Anna veniva onorata nel suo mese, Marte si recò a richiedere il suo aiuto insistentemente. Anna gli promise di condurre alla stanza nuziale la fanciulla ma preparò uno scherzo, condusse una vecchia dea, forse lei stessa, coperta con un velo sul letto nuziale. Marte scoprì l’inganno scostando il velo per baciarla. Anna Perenna potrebbe essere la personificazione del nutrimento perenne immortalante che appunto viene alle creature del Principio divino di tutto: una dimensione che, in molti miti, era raffigurata simbolicamente come una misteriosa terra posta oltre il mare, difficilissima da raggiungere, e significativamente retta da una Dea, oppure una Regina o Sacerdotessa sovrana. L'obiettivo, per qualcuno, di un difficile viaggio attraverso le acque, volto a ritrovare il contatto con l'origine della vera Vita perenne, al di là delle apparenze del mondo storico.Ad es. per i celti questa era "la Terra dei Viventi", la patria nativa dei Tuatha de Danann, nome della stirpe primordiale di origine superiore, che letteralmente significava proprio "gente della Dea", cioè di Dana o Ana..Per alcuni studiosi Anna Perenna è "la Grande Dea" , la "Madre dai mille nomi" dalle cui caratteristiche si sono distinte diverse altre dee quali Ishtar, Anahita, Parvati, kali, Athena ecc ovvero Anna Perenna sarebbe la rappresentazione, senza limiti di spazio e tempo, di una Dea Universale. Sarebbe anche la rappresentazione dell'avvicendarsi degli anni, annare perennare, come apportatrice di letizia.Precisa Cattabiani, in "Simboli, miti e misteri di Roma" - Newton e Compton ed.,2004- che Anna la cui desinenza an deriverebbe dall’arcaico annulus-anello potrebbe essere ricondotta alla ciclicità del tempo, poiché giorni mesi ed anni sono scanditi dai moti circolari della Luna attorno alla Terra e della Terra attorno al Sole. "La Grande" è tradizionalmente riconducibile al culto della Luna, legato quindi al nutrimento e alla fecondità. La dea Anna Perenna potrebbe quindi essere "la Grande Madre. Se in alcuni miti ella appare vecchia, non c’è da stupirsi, considerando che la rappresentazione di Madre Natura alla fine dell’anno è appunto di una vecchia rinsecchita. Viceversa, all’inizio dell’anno viene raffigurata come una fanciulla, la “ninfa”. Il collegamento con l’acqua non è nemmeno casuale. Per alcuni Anna deriva da Amnis "fiume", "corrente" (corrente eterna) ovvero“il flusso continuo di energia vitale che genera gli esseri e le forme che si celebra al primo plenilunio, capodanno romano, essendo Anna connessa alla Luna.Addirittura per alcuni "anna peremna" è Sostanza magica o fonte di nutrimento, bevanda spirituale (come Soma, o Amrita, o Ambrosia..) Anna quindi sarebbe "cibo". La Dea hindu Annapurna è considerata "la luce che sazia ogni essere". Il termine sancrito “anna” è l’essenza vitale di ogni cosmo. Il culto di Anna accostato a figure legate all'acqua risulta dai ritrovamenti archeologici per cui vi sarebbe un evidente nesso tra l'antico culto della Dea italica e le Ninfe, nella zona Parioli a Roma vi è la fontana sacra alla Dea, laddove un tempo sorgeva il bosco sacro. Nella tavola bronzea osca di Agnona si cita “ammaí Kerríiaí” e “pernaí Kerríiaí”, secondo quanto ricorda Cattabiani la parola amma, madre, corrisponde al germanico amma, nutrice e ammaí pernaí potrebbero essere ricondotti ad Anna Perenna. Anche secondo Dumézil Anna Perenna significa nutrimento, in particolare egli ritiene che annona sia da riferire a “nutrice” e non ad “annus”, Perenna starebbe per perennis, perenne. Quindi Anna Perenna sarebbe proprio la Nutrice d’Immortalità, l’Ambrosia che dona immortalità. Dice Cattabiani che col tardo Impero il culto cadde in desuetudine; dove il calendario Vaticano registrava come Feriae Annae Perenna VIA.FLAM.AD.LAPIDEM PRIMUM il calendario di Filocalo del 354 d.c. al 15 marzo registrava il Canna intrat, il primo giorno di culto ad Attis. Nella tradizione cristiana Anna ha un altro significato, da hanān, concedere grazia. Ma forse è interessante notare che nel primo libro di Samuele Elkana ha due mogli: Peninna e Hannāh. La prima aveva dato due figli, la seconda era sterile. Le fu poi “concessa la grazia” di un figlio. Hannāh venne tradotto in greco e in latino Anna ma è solo un caso che esso venne a coincidere con la dea romana. Il martedì era consacrato ad Anna Perenna perché sarebbe nata e morta in quel giorno, dedicato anche a Marte.