Io:
Generalmente noi occidentali non siamo "pratici" di reincarnazione perché generalmente la si crede un affare orientale. Sappiamo che così non è, però la cultura moderna ci ha mostrato un'India spirituale, nella quale il fenomeno in questione è tenuto in grande considerazione da chiunque, per motivazioni religiose. Si sosteneva che le famiglie indiane incoraggiassero i figlioletti a ricordare, e talvolta esplorassero la loro pelle in cerca di macchie che potessero figurare un'esistenza precedente connessa a morte violenta. Si diceva infatti che le macchie comparivano dove il corpo precedente aveva subito i traumi implicati nel decesso e che l'anima si sarebbe incarnata quanto prima, in un ambiente idoneo a smaltire quelle forti impressioni emotive. Ora, in tutto c'è del vero e c'è del falso.
Non è vero che gli indiani a priori acconsentissero ed incoraggiassero i bambini a ricordare, anzi, spesso vi era un rifiuto verso certe stramberie e quando i bimbi parlavano di quando "erano grandi" i genitori li mettevano a tacere anche con metodi di rieducazione, magari riempiendo loro la bocca di sapone per punirli. Ora, non so esattamente come funzioni in India e quante cose sopra dette corrispondano effettivamente alla verità, in quanto la mia conoscenza a riguardo è puramente basata su libri, ma mi colpì fra le altre cose il fatto che pare vi fossero diverse schede di casi criminali che iniziavano con il rapimento di bambini da parte di donne provenienti da zone rurali, che li uccidevano per coprirsi del loro sangue in una sorta di sacrificio volto a richiamare su di sé quelle anime, perché appunto si incarnassero in un figlio loro.
Quindi, credo veramente che vi siano, ovviamente, "cattive" interpretazioni (anche) dei testi orientali, sia da parte esterna che da parte degli orientali stessi e dunque concordo con questa osservazione:
Ma la Bhagavad Gita e tutti gli altri testi vedici confermano il contrario di quanto chi asseriva quanto sopra avrebbe dovuto sapere, perché la Gita sarebbe dovuta essere oggetto di profondo studio, ma a quanto pare non era (ed è ancora temo) così.
Per quanto riguarda quest'altra affermazione:
“Al contrario le anime uccise per morte violenta non riescono ad ascendere nelle dimensioni astrali e rimangono legate alle dimensioni basse. Il primo concepimento che beccano et voilà... già reincarnati (sempre se riescono ad entrare).”
ho letto che l'anima tende ad incarnarsi in zone o comunque in situazioni vicine a quella lasciata, per completare un lavoro precedente e per alleviare quelle impressioni emotive che permetterebbero al "nuovo" bambino di ricordarsi la vita precedente, spesso proprio sotto forma di trauma psicologico. Se così veramente fosse, allora non sarebbe una scelta dovuta ad un "primo concepimento che beccano" ma una scelta per certi versi "dovuta". Comunque, queste anime rimarrebbero legate alla materia e alle dimensioni precedentemente chiamate "basse".
E che ne pensate dei "ricordi di altre vite" avuti per ipnosi regressiva? Pare che sia un metodo usato terapeuticamente per rimuovere blocchi e fobie che la psicanalisi non riesce a curar forse perché radicati più in là della nascita stessa. Anni fa lessi parecchio a riguardo, sottolineo, però, che non tutti i medici che usano questa tecnica sono realmente convinti si tratti di ricordi che dimostrerebbero la reincarnazione, anzi, questi professionisti scettici ritengono che il soggetto abbia in qualche modo accesso alle immagini di altri soggetti e molti pazienti stessi ritengono le immagini che vedono una metafora della propria vita e delle proprie difficoltà (spesso però inspiegabili perché il soggetto racconta vicende e personaggi che non potrebbe oggettivamente conoscere). Ad ogni modo, accanto a cliniche specializzate in questo tipo di ricerca che vede un sistema di monitoraggio dell'encefalogramma al fine di capire quali parti di cervello sono implicate in certe esperienze ipnotiche (e si è visto-ancora una volta-che il mutamento avviene attraverso una vibrazione..) vi è la critica di quella parte di scienza metodologica "classica" che contesta una terapia che risveglia qualcosa che la mente, per proteggersi, cancella, ignora, oscura: sarebbe uno sblocco pericoloso. In fondo, se l'uomo incarnandosi, "s'immerge nel Lete", è giusto forzare la mente anziché lasciarsi andare alla vita così com'è, e magari un giorno, superati gli ostacoli, "ricordare spontanemente"? Ma la questione avanzata da chi impiega questo metodo di regressione è "se l'ipnosi regressiva, qualunque cosa implichi, aiuta il soggetto a guarire definitivamente e subito da tumori, macchie cutanee, fobie, paranoie, dolori di varia natura e quant'altro, perché non servirsene, pur sempre in misura tale da non provocare ansie da nuovi "sensi di colpa karmici" o condizionamenti ulteriori provenienti da un'altra esistenza?
Nebe:
il ricordo così ottenuto viene comunque filtrato dalla coscienza ordinaria, impregnata altresì del magnetismo dell'ipnotizzatore. Non è veritiero.
Io:
E' certamente vero che la coscienza filtra i "ricordi" e che in determinate circostanze -per ipotesi in tutte- l'ipnotizzatore più serio possa inconsapevolmente influire nel racconto del paziente. Ci sono casi in cui emergono degli elementi e delle conoscenze inspiegabili nella vita ordinaria del paziente (e del medico stesso). Lingue sconosciute ad entrambi, personaggi, fatti, nomi, abitudini storiche completamente estranee alla cultura, allo studio, di entrambi.
Ma alla famiglia, agli antenati, del paziente? E a quelli del medico? Al loro "clan"?
Che rapporto vi è, allora, tra il nostro subconscio e quella che potremmo chiamare "coscienza collettiva"? Intercorre un processo di semplificazione dell'individuo, un po' come quando si riduce ogni momento del Tempo ad una più ridotta contemporaneità.
Madu:
Krishna nella Ghita dice che Lui da la Conoscenza e l'oblio delle vite precedenti. Quindi io non credo sia possibile ricordarle tramite una seduta ipnotica.
Nebe:
“Che rapporto vi è, allora, tra il nostro subconscio e quella che potremmo chiamare "coscienza collettiva?”
Intercorre un processo di semplificazione dell'individuo, un po' come quando si riduce ogni momento del Tempo ad una più ridotta contemporaneità.”
Secondo me è illuminante il famoso esempio dell'iceberg, di cui è possibile vedere in superficie solo una punta, un'isoletta, o anche più di una. Nulla fa sospettare che le isolette siano collegate tra loro, così come nulla fa sospettare che siano semplicemente parte di un tutto: una massa submarina immensa.
La nostra normale coscienza di veglia si trova sulla punta dell'isoletta. Se, tramite un processo di reintegrazione, reisco a superare il limite della mia individuazione, allora, come nella massa submarina si riunisce la molteplicità delle isole emergenti, del pari la mia più profonda coscienza ha facoltà di attuare in una unità cosciente superiore molte coscienze particolari disperse nello spazio o nel tempo. Nel primo caso (spazio) recupero il Me iniziatico e regale (o forse sarebbe meglio dire il Noi); nel secondo (tempo) recupero il ricordo e la visione delle molteplici esistenze.
In questa condizione le tue conoscenze spazierebbero in infiniti campi, terreni ed ultraterreni. E' per questo che nel vangelo viene scritto: "cerca prima il regno di Dio e tutto il resto ti sarà dato in aggiunta".
Io:
Sono d'accordo. Quindi, quando noi ricordiamo un'esistenza "precedente" nel corpo di un guerriero maya, come sappiamo che l'esperienza in questione è stata "vissuta" dalla nostra stessa Anima e non è, invece, l'esperienza dell'Anima di qualcun altro, cui si ha accesso?
Forse che ad una certa "profondità" non ha più senso parlare di Anime come sostanze distinte o gocce, in realtà fuse nello stesso mare?
Nebe:
Nell'opera progressiva di ascesi, i primi "ricordi" a cui hai accesso sono quelli dela tua Anima. Arrivare a ricordare le incarnazioni di altri significa essersi già trascesi nell'Uno e dunque aver perso ogni forma di individualità...
Viceversa in fase di apertura mercuriale (che può anche essere involontaria nelle persone sensibili) puoi benissimo accedere alla mente di altre persone e leggerne i pensieri, anche i più reconditi.
Io:
E in questo caso non è "necessario" essere trascesi all'Uno. Ma allora.. è possibile che una persona così sensibile possa "confondersi" e ritenere il pensiero di un altro e il ricordo di un altro, un suo ricordo, un suo pensiero?
Nebe:
In prima battuta sarei tentato di dire di no, ma in realtà il "filtro" posto dalla tua coscienza è molto potente, tanto che in un certo ambito, diventa difficilissimo distinguere anche la realtà dalla fantasia, quindi probabilmente è possibile.
In realtà l'unico che può darti un discernimento certo è il tuo demone.
Io:
Con “ipnosi” non mi riferisco a un processo guidato esclusivamente da un secondo attore, qual è il medico, ma anche a uno stato autoindotto. Attraverso l’ipnosi (dal greco hypnos, sonno) il soggetto vive un’esperienza, una situazione che in qualche modo influenza inconsciamente la sua vita determinando spesso disagi che sfociano in malattie psicosomatiche. In particolare attraverso la regressione, il soggetto “spiega” il suo presente con cause precedenti, dà loro forma, suono, odore: “crea”, per così dire, un ambiente ed una situazione idonei a rispondere in qualche modo ai sui disagi (fisici e psicologici), altrimenti nascosti dietro la quotidiana razionalità. L’immaginazione, o allucinazione, permette dunque il riconoscimento di quei quid nascosti e la comunicazione con essi, che in normali condizioni restano compressi come una macchia sigillata, la scatola nera della nostra esistenza non-razionalizzata.
La volontà del soggetto non viene alterata durante l’ipnosi, egli cioè non fa ciò che è contrario alla sua natura e alla sua moralità, egli è consapevole di quanto racconta e se ne sente emotivamente coinvolto, ma è collegato alla realtà: è consapevole di essere in uno stato di trance.
La mente così stimolata, attraverso immagini che la razionalità può comprendere, agisce sul corpo fino a stabilire con esso un dialogo e un rapporto di equilibrio spesso sfociante in un miglioramento dello stato di salute.
In trance la mente focalizza la sua attenzione –si concentra- in un punto “comunicabile” perché descrivibile, cioè riconoscibile come immagine, suono, odore ed emozione (durante l’esperienza è comune per il soggetto agitarsi, sorridere, spaventarsi, tremare, sudare perché egli è il protagonista in quella regia). E’ una reazione spesso sufficiente per liberarsi da un anello di catena invisibile, una specie d’impressione residua.
Come precedentemente dicevo, molti medici utilizzano questa pratica a scopo terapeutico, per trattare fobie e malattie pur non riconoscendo la reincarnazione in sé, anche se diversi medici molto scettici in partenza si sono poi ricreduti. Talvolta, l’ipotesi spazia sulla possibilità umana d’attingere informazioni da una “supercoscienza collettiva”, esperienze, immagini, pensieri di altri. L’attenzione si sposta dunque dall’inconscio individuale a quello collettivo di Junghiana memoria, dove gli archetipi -simboli- precederebbero le esperienze individuali stesse dando anche un valore in qualche modo oggettivo all’istintività.
Una “seduta ipnotica” spesso non è sufficiente a visualizzare queste immagini “di altre vite” per spiegare quella presente, soprattutto in presenza di altri, come un medico, e soprattutto se non è possibile instaurare quel rapporto di fiducia e rilassamento necessari per lasciarsi andare. Perché probabilmente è proprio un “lasciarsi andare” ciò che avviene, uno sprofondare in sé stessi spogliandosi del “presente” fino ad affrontare situazioni, nemici prima invisibili, ora lì davanti, come ad esempio il trauma della “propria morte” o della propria nascita. E per questo motivo, molto spesso i racconti sono traumatici, raccontano violenze subite, sono esperienze devastanti “rivissute” forse per essere comprese, superate, per rimuovere il blocco che esse originano. Interessante è la teoria secondo la quale un determinato problema psicofisico non solo si trascina, nascosto, fin dalla più tenera età (Freud docet) o addirittura fin da vite antecedenti (Stevenson et alii), ma anche geneticamente, trasmettendosi di padre in figlio. Secondo questa teoria, i discendenti di una famiglia sembrano naturalmente portati a rivivere situazioni vissute dai propri antenati: stesse malattie, stessi blocchi, spesso medesime “morti violente”, quasi una sorta di “karma familiare” il cui corso può essere invertito nel momento in cui qualcuno prende finalmente coscienza della propria “sottomissione” a tacite “regole” familiari, liberando sé stesso e i suoi successori, sublimando in positivo le negatività stagnanti sotto forma di preconcetti, ossessioni, predisposizioni a ficcarsi ripetitivamente nelle medesime circostanze. E’ a questo punto che s’inserirebbe il concetto di “atto poetico”, un’azione di “psicomagia” (Jodorowsky) che diviene poesia nel momento in cui serve a creare una nuova realtà per il soggetto, un’esistenza libera dai vicoli ai quali il subconscio invisibilmente conduce, è dunque il disconoscimento dei propri supposti limiti a favore delle proprie infinite possibilità. Ma nell’atto poetico non vi è pura ribellione, vi è la “conversione della realtà”, l’atto poetico promuove solo la vita e non dà come risultato un’azione negativa, violenta, mortale.
Non ho sperimentato né assistito all’ipnosi, dunque le mie considerazioni sulla stessa sono puramente frutto di osservazioni altrui. Nonostante questo limite, io immagino possibile far riaffiorare “ricordi” tramite d’essa, ricordi d’infanzia e perché no, precedenti la nascita stessa. Trovo, per altro, molto stimolanti ed interessanti gli interventi di Nebheptra a riguardo e mi sento in gran parte in sintonia con quanto fin ora ha affermato. Il ricordo di vite passate per ipnosi regressiva, pur rimanendo una possibilità (per me), si riduce a una casistica ridotta e ben difficile da stabilire, soprattutto in termini numerici, sia per l’implicita complessità nel distinguere la “realtà” dal filtraggio mentale che costruisce realtà alternative (come una specie di “pensiero poetico”) sia per l’improbabilità che un esterno (il medico) possa effettivamente sapere, semplicemente ascoltando, da dove il soggetto attinge le informazioni dei suoi racconti.
Krishna nella Ghita dice che Lui da la Conoscenza e l'oblio delle vite precedenti. Quindi io non credo sia possibile ricordarle tramite una seduta ipnotica.
Attendendo eventuali precisazioni, vorrei fare alcune osservazioni che mi portano a una conclusione diversa rispetto a quella espressa da madhur. Per poter far comprendere l’ambito di riferimento anche a chi non è pratico di filosofia indiana, faccio una piccola premessa:
La Bhagavad-Gita (fa parte del Mahabarata) è un’opera poetica che riassume le filosofie delle “rivelazioni” dei Veda (capostipiti del pensiero indiano) e delle Upanishad (via della salvazione). Mentre i testi “sruti” tra cui appunto i Veda e le Upanishad erano destinati a un’élite, i testi epici che narravano vicende di eroi, i cosiddetti “smrti” come i Sutra, Vedanga, Mahabarata e il Ramayana, sono considerati di approccio pubblico.
Le scuole che si fondano sulla rivelazione dei Veda appartengono al ramo della filosofia ortodossa contrapposta a quelle che negano la rivelazione stessa, tra cui la corrente Jaina, il Buddismo ecc. La Bhagavad-Gita è figlia della rivelazione e può essere definito come il “credo” dei fedeli delle scuole devozionali, il vangelo di quanti danno a Dio il potere salvifico, mediante la “Grazia”.
Vi sono innumerevoli sette e scuole, formatesi dai filosofi commentatori delle scritture sacre, che pur appartenendo a una medesima corrente si sono poi contrapposti a precedenti “speculazioni” nel tentativo di evolvere il pensiero indiano, rispondendo anche a questioni che i testi più antichi non affrontavano. Le loro scuole hanno dato origine a diverse distinzioni il cui fondamento principale è dato da dualismo (l’Universo è “corpo” di Dio) e non-dualismo (l’Universo è illusione e non realtà).
Il Vedanta stesso, pur partendo da considerazioni monistiche (non-dualismo) verrà poi ripreso da più mani fino a dividersi in diversi rami, giungendo a osservazioni dualistiche e a vie di mezzo tra le due. Ad ogni modo, uno dei maggiori esponenti del pensiero filosofico indiano, che riprese il non-dualismo vedantico, fu Sankara che si basò all’assoluto monismo.
Personalmente, nelle osservazioni che seguiranno a proposito della sopra citata Gita, prenderò a riferimento la filosofia ortodossa di Sankara, difensore della rivelazione upanishadica, per il quale la dualità, e dunque il mondo sensibile con la sua molteplicità, è pura illusione. Esiste solo l’Essere, quello che noi conosciamo come non-essere è un errore percettivo, è un’illusione (ma non si spiega l’origine dell’errore). Noi scambiamo per molteplice ciò che in realtà è Uno.
Noi consideriamo le individualità invece che “vedere” l’Io Unico.
Questa premessa per anticipare qualche passo, scelto, posso dire, un po’ “a caso”, solo a titolo informativo:
Bhagavad-Gita 15, 15:
Io dimoro nel cuore di ogni essere; da me traggono origine
la memoria, la conoscenza e la rimozione del dubbio;
sono io quel che tutti i Veda rivelano,
io l'autore del Vedanta e il conoscitore del Veda.
4, 5:
Molte sono le mie esistenze passate
e molte sono le tue, o Arjuna;
io le conosco tutte,
ma tu non le conosci, o Paramtapa.
4,6:
Pur essendo non nato, Spirito inalterabile,
pur essendo il Signore degli esseri.
facendo ricorso alla mia propria natura
io mi manifesto grazie alla mia maya.
Krishna è la forza divina che genera sé stessa nel mondo per ristabilire l’ordine: pur contenendo gli attributi divini di Brahman, egli si incarna, in altre parole, non è estraneo al mondo sensibile, ma dimora nel cuore di ogni essere, è nel profondo di ogni essere. In interiore hominis habitat Veritas, sosteneva Sant’Agostino, così come, nelle Upanishad, Dio è il principio invisibile immune da tempo e spazio e in tutti presente. Nel Loto del Cuore, spettatore delle azioni umane (perché principio intelligente e cosciente non attivo) è pura energia o “atomo” -Anu.
L’incarnazione di Krishna permette l’ordine, perché Egli indica la via da seguire, dell’amore, della conoscenza. Quindi l’uomo, pur immerso in condizione d’illusione, può giungere a Conoscere, (grazie all’aiuto di Krishna, cioè di quell’aspetto del divino Brahman che la carne-illusione comunque contiene) attraverso la realizzazione mediante ascesi del Sé stesso. Dunque, dall’illusione-molteplice ci si Risveglia alla Realtà-Uno seguendo la Luce nel profondo del cuore, come una guida che ci esorta a seguirla distruggendo l’Ego sul campo della nostra battaglia interiore.
“Le vie del Signore sono infinite”: per raggiungere questo ricongiungimento vi sono molte vie e nessuna esclude l’altra, non vi è intolleranza fra loro. Lo Yoga, scuola ortodossa fondata sulla rivelazione, afferma però che l’uomo ottiene la liberazione della Conoscenza attraverso vere e proprie discipline che educano la mente (Citta) liberandola dalle “engrafie” (codifiche di informazione nella memoria) del passato e dalle sue tendenze. In particolare, lo yoga si basa su tecniche di concentrazione e respiro che inducono a stati auto suggestivi ed auto-ipnotici, giungendo al controllo della volontà altrui e a esperienze cosiddette “paranormali”.
Il Veda racconta di un seguace di Rudra che beve dalla coppa di Dio e vola in estasi nell’aria e vede il destino di tutti gli esseri (Veda, X,136).
La Bhagavad-Gita stessa fa grande riferimento alla pratica dello yoga come strumento di conoscenza. Dunque, personalmente, ritengo che pur partendo da presupposti diversi le “indagini psicologiche” effettuate dallo yoga abbiano alcuni punti comuni con l’ipnosi non yogica, per lo meno per ciò che riguarda alcuni suoi (primi) risultati.
Vorrei aggiungere che la permanenza di “impressioni” da una “precedente vita” a un’altra o a un intero “clan” familiare, non è una teoria così diffusa e accettata. Pur non condividendo in toto le spiegazioni di L.M.A. Viola, tengo a riportare alcune sue interessanti considerazioni a completamento di questo discorso. Egli evidenzia che la Psiche, da considerarsi il riflesso dell’“atman” o della “persona divina primordiale” e principio del somatico, s’incarna dopo la morte del corpo (e dopo successivi “stalli”, la cui spiegazione eventualmente richiederà un nuovo argomento) ma non mantenendo un’identità psicofisica, un ego somatico permanente, ma “trasferendo qualità e opere da un misto psicofisico a un altro”. Il Nous, il principio, Sole, pur rimanendo in sé si riflette nella Psiche, la Psiche, pur rimanendo in sé si riflette nella temporalità. L’Essere divino rimane in sé pur riflettendosi nella molteplicità. Questo sistema, dunque, nega una reincarnazione così come generalmente è intesa, in altre parole, come il recupero dell’Io precedente.
A questo proposito trovo similare la considerazione di Sankara per il quale il manifesto è illusione e non vi è dualità. Mi sento di aggiungere che l’assenza di dualità, e di risposte inerenti alla questione, non è un limite dei Veda indiani, ma un’antica attitudine, che precedette anche le Upanishad, a non considerare affatto (cedendo all’errore) la partizione di Essere e Divenire, che implicitamente conduce a considerare l’uomo un contenitore limitante il principio illimitato che non si sa perché inizia a manifestarsi.
Quindi, l’Essere personale universale o Hiranya-garbhao, Aureo Germe sinonimo di Agni, Rudra e Brahma, appare plurale, ma in realtà è Uno.
Il ricordo nell’esperienza ipnotica, dunque, sarebbe l’espressione d’illusioni “alternative”, tuttavia, attraverso la purificazione (e l’uso-orientamento “ragionevole” dell’Intelletto) vi sarebbe una progressiva perdita d’individualità anche in queste visualizzazioni, che condurrebbe all’immedesimazione nella totalità e per semplificazione, e per stadi, all’Uno.
Beppe:
Pitagora parla della reincarnazione e racconta quelle che furono le sue vite passate, inoltre prevedeva anche l'eventuale incarnazione in animali, raccontano alcune fonti che un giorno vedendo un uomo che malmenava il suo cane gli chiese cortesemente di smettere, poiché riconosceva in quel cane un suo vecchio amico morto anni addietro.
Io:
Secondo Viola, le testimonianze di Pitagora o del Buddha non si riferiscono ai singoli Ego somatici e "transeunti" o a singole psyche re-incarnate in individui, ma all'Essere Personale Universale che appare al plurale quando in realtà è Uno.
Francesco:
“all'Essere Personale Universale che appare al plurale quando in realtà è Uno.”
Perdonami ma frasi del genere con tutta la pazienza che si può avere non potranno mai essere chiare!!!!!
L'Essere è l'Essere......quindi non è né personale ne universale ma è al di là di entrambe le condizioni.
Ciò che appare, non può essere Unità perché le apparenze fanno parte del mondo che diviene!
Queste semplici osservazioni non sono volte a polemizzare o a denigrare le riflessioni di nessuno, semplicemente vogliono fare intendere che certe discussioni probabilmente non possono essere affrontati verbalmente. Si consideri che il Divino Pitagora utilizza i numeri (simboli) per fare intendere le cose; e lo stesso fa la Cabala.
Perfino Plotino e lo stesso Platone su alcuni temi arrivano ad un punto di stallo.
Quindi buona discussione.....
Diciamo che l'Essere è espressione dell'Uno Iniziale e Finale di Platone, ma Esso quando si individua in una porzione di sé può innestarsi in una persona ai fini didattici.
e quindi abbiamo il Buddha o un Pitagora o un Apollonio di Tiana.
NON una re-incarnazione ma una Individuazione di un Principio Primo.
Mi scuso con te e con coloro che stanno partecipando direttamente e non alla discussione se l'intervento in questione non è stato esplicato a sufficienza.
Non si voleva alludere all'inutilità della parola in quanto mezzo del dialogo, semplicemente si voleva far riflettere che la stessa parola ha un suo campo di azione. Esaurito questo subentra il simbolo (ivi compreso il numero nell'accezione pitagorica) quale mezzo di comunicazione che opera per sua natura su piani diversi....forse più sottili. Alla fine anche il simbolo esaurirà il suo compito per lasciare spazio al "silenzio", tanto caro allo stesso Pitagora, ed è allora che il Re avrà messo la sua corona unendo Kether a Malkuth e sarà pronto per il suo viaggio verso l'Ain Soph Aur (la luce assoluta non manifesta)..... ....di nuovo buona discussione e scusate il fuori tema.
Io:
Anche l'India spiega diversi passaggi, perfino della meditazione yogica-respiro- attraverso simboli come figure geometriche. Ma non potendo farvi dei disegni.. ho optato per la parola.Sui simboli si può aprire un altro argomento specifico, anche se non sono quel che si dice un'esperta forse potrei essere utile.
“..ed è allora che il Re avrà messo la sua corona unendo Kether a Malkuth e sarà pronto per il suo viaggio verso l'Ain Soph Aur (la luce assoluta non manifesta)....."
Non che questa frase pulluli di chiarezza. Comunque non sei proprio fuori tema, o meglio ormai lo siamo entrambi.. l'Unità Enadica è la sintesi di Essenza ed Essere, nelle Enadi potenzialmente sussiste allora anche la Triade, quello che la Cabala chiama Ain Soph Aur, Kether, Daath, una tradizione Indu chiama Parabrahman, Brahman Nirguna, Brahman Saguna, la tradizione greca chiama Ouranos, Chrònos, Zeus e quella romana Ianvs, Saturnvs, Iupiter. Ognuno di essi è il rilfesso della coscienza che li "precede" in tale ordine. Questo perché l'Essere contiene un "seme", punto, archetipo, che racchiude le illimitate potenzialità..
Beppe:
“quella di Pitagora era una battuta”
Hippolytus Refutatio
Empedocle diceva che tutte le anime trasmigrano in tutti gli esseri viventi. In effetti, il loro maestro Pitagora...
La visione di Empedocle riporta un aspetto della dottrina pitagorica , rilegendo Diogene Laerzio non colgo l'aspetto goliardico dell'affermazione del maestro:"Senofane testimonia che Pitagora sia rinato sotto diversi aspetti; ecco quel che dice lui: E narrano che una volta passando per dove maltrattavano un cagnolino, mosso a pietà avesse detto queste parole: smetti di battere, poichè è certo l'anima di un mio amico, l'ho riconosciuto sentendone la voce". Diog. Laerzio Fil. Bion.
Certamente come battuta sarebbe molto simpatica, ma penso che Senofane, riportato da Diogene, avrebbe specificato se si fosse trattato di una battuta o meno, ma anche tralasciando ciò il fatto che fosse mosso a pietà indica non solo una sensibilità del maestro verso gli animali, ma anche (almeno questo è ciò che vuol far apparire Diogene) ch'egli credesse che anime umane potessero trasmigrare in animali.
Personalmente non ho mai creduto in una simile forma di reincarnazione, ma essendoci qui il vero "ipse dixit" provo a pensare che probabilmente uomini debosciati ed animaleschi possano fare un passo indietro e reincarnarsi in un animale, così come altri possono fare il passo avanti ed incarnare esclusivamente il daimon od incarnarsi in esso in un'apoteosi.
Gli antichi credevano nella metempsicosi. Basta leggere i miti in modo letterale, dove si vedono Dei assumere sembianze di animali e trasformare uomini in bestie e piante a piacimento.
A me e' comunque sembrata una battuta per il modo in cui Pitagora dice di aver riconosciuto il "Nome" dell'anima del suo amico: passando per caso, dalla sua voce, ovvero dai guaiti del cane. L'ho interpretato come un modo di fermare il bastonatore, simpatico ed autorevole al contempo, visto che ai suoi tempi era considerato certamente come un esperto in materia.
Volendo approfondire la questione va detto che esiste una categoria di esseri a metà tra gli uomini e gli animali, ovvero gli elementali. Se un uomo affonda nel vizio, in genere ha comunque un'inclinazione preferenziale, la lussuria ad esempio, o l'ira e la violenza sfrenata. Se il suo sprofondare è tale da non essere neanche lavato dal fuoco della "frustrazione" nel post mortem, significa che è totalmente ed irrimediabilmente sbilanciato verso un elemento particolare, l'Acqua per la Lussuria, ad esempio, o il Fuoco per l'Ira. Significa essere davvero abbrutiti a tal punto da essere abbandonato dai demoni. In termini animici, la sua frequenza vibrazionale lo trascinerà inesorabilmente verso il piano degli elementali.
Come elementale, se ha fortuna, potrà "congiungersi" con un anima umana e ritornare immortale, se no finito il suo ciclo vita morirà, riassorbito nella corrente astrale, a meno che non riesca ad "aggrapparsi" in estremis all'anima di un animale, cosa assolutamente non facile perchè gli animali sono molto più equilibrati di noialtri e difficilmente hanno propensione verso l'uno o l'altro elemento.
Mi scuso per la brevità e l'imprecisione con cui ho espresso questo concetto, ma sono di fretta e spero di essere stato chiaro comunque.
Io:
Sono un po' stanca, ma partecipo alla discussione per dire che ho letto ho letto qua e là che le anime non "retrocedono" a stati animali o vegetali, perché quello che hanno conquistato in precedenti meriti-maturazioni, se lo tengono, non viene portato "via".
Semmai, si incarnano ancora e ancora in corpi adatti a comprendere e a superare i limiti dei vizi. Alcune sapienze indiane, forse interpretate da un commentatore di cui non so adesso riportarvi il nome, dicono proprio questo, che non viene tolto ciò che prima ci si è guadagnati, il problema è piuttosto "lo stallo".
Stefano:
Probabilmente uomini debosciati e animaleschi possano fare un passo indietro e reincarnarsi in un animale, così come altri possono fare il passo avanti ed incarnare esclusivamente il daimon od incarnarsi in esso in un'apoteosi.
Nelle dottrine Induiste è così, la reincarnazione animale sarebbe quasi un favore per permettere una ripresa dell'evoluzione di una persona e anche per permettergli di vivere nel modo che più lo aggrada.
Beppe :
Ovviamente viene da pensare che la logica della legge di reincarnazione sia come espressa da Stefano (che riprende dagli induisti), ossia legata all'evoluzione dell'individuo.
Io:
Numerose sono le sfumature esistenti nel pensiero indiano.
Secondo quanto ho potuto capire, non è assente in India il concetto di metempsicosi, differente da quello di reincarnazione classico vedico, secondo cui esiste una “inversione di marcia” rispetto alla naturale evoluzione dell’anima.
Francesco2:
Pitagora parla della reincarnazione e racconta quelle che furono le sue vite passate, inoltre prevedeva anche l'eventuale incarnazione in animali, raccontano alcune fonti che un giorno vedendo un uomo che malmenava il suo cane gli chiese cortesemente di smettere, poiché riconosceva in quel cane un suo vecchio amico morto anni addietro.
Dunque è possibile, nell'ottica pitagorica, che l'anima incarnata in un uomo, alla dissoluzione del composto fisico "retroceda" al regno animale?
E' interessante rilevare l'evoluzione storica del concetto di trasmigrazione delle anime: l'idea sopra riportata sembra appartenere, ad esempio, al Bruno della "Cabala del Cavallo Pegaseo", mentre è estranea quantomeno ad alcuni passi del Corpus Hermeticum, vedi ad esempio Discorso X di Ermete Trismegisto detto "La Chiave", paragrafo 19: "L'anima dunque, anche se non ogni anima ma solo quella pia, è qualcosa di spirituale e di divino. Tale anima, separatasi dal corpo e combattuta la lotta della pietà [...] diventa intelletto nella sua propria interezza. L'anima empia invece resta nella sua propria essenza, punita da se stessa, in cerca di un corpo terreno in cui entrare; comunque sempre un corpo umano, poiché un altro corpo non può contenere un'anima umana e Dio non permette che questa cada nel corpo di un animale privo di ragione. E' una legge divina ("theoù [...] nòmos"), infatti, questa di proteggere l'anima da un tale oltraggio."
Peraltro va detto che il Corpus si contraddice in più punti (il che implica, forse, la stratificazione di più "mani" nella sua compilazione nel corso dei secoli): ciò accade ad esempio nel medesimo Discorso sopra citato, al paragrafo VIII, ove si sottolinea il concetto di condanna dell'anima "malvagia" - "kai àutee katadìkee psychèes kakèes"; v. anche Asclepio, par. 12.
Al di là di tutto questo mi chiedo spesso: quando avviene la cosiddetta (volgarmente) "reincarnazione"? In chi avviene? (il Corpus afferma che il Nous non è presente in tutti gli uomini indistintamente: si rifletta su questo) Con quali modalità? E soprattutto: che cosa si "reincarna": l'anima? Se sì, "quale"?
Alcune riflessioni.
Alcmeone di Crotone (Fr. A 12 Diels):
“L’anima è immortale per la sua somiglianza con le cose immortali.”
C'è chi dice che Alcmeone fosse un razionalista, un PItagorico "sui generis" (si pensi ad affermazioni come: “non la vita organica soltanto, ma anche la vita superiore, morale e intellettuale, è prodotta dal corpo. Infatti, abbiamo visto ch’egli la fa provenire da un organo fisico, il cervello; il quale, per mezzo del movimento, di cui ha il possesso, secerne le sensazioni, secerne la volontà, secerne il pensiero. Tutte le funzioni, dalle più umili alle più elevate, non sono se non proprietà del corpo: si identificano quasi con gli organi di esso; mutano col mutare delle condizioni in cui esso si trovi, muoiono in esso e con esso.” - A.Rostagni, Il Verbo di Pitagora, Victrix, pag. 74): lo stesso Rostagni confuta questa tesi, rilevando come nel frammento sopra citato (Fr A 12 Diels, ricavato da una citazione di Aristot., De Anima 12, 17, 405 a, 29), Alcmeone affermi a chiare lettere che l’anima è immortale: non è dunque a questa anima che il nostro si riferisce nel sancirne la filiazione dall’organismo umano, e segnatamente dal cervello, bensì ad un’altra Anima, della cui esistenza aveva con ogni probabilità appreso nell’ambito dei Misteri Orfici. È questa, e non la prima, l’oggetto principe della speculazione pitagorica che nasce, ed in quanto dottrina iniziatica non può non nascere, sempre dalla contemplazione, theorìa.
Allora quest’Anima (immortale, divina, non di natura fisica), che pure i Pitagorici chiamavano Psyché alla stessa maniera di quella somatica, dai Greci era propriamente detta Dàimon, ente paragonabile al Genius (per gli uomini; Iuno per le donne) dei Romani ed inteso come scintilla divina nell’uomo:
“Tutta l’aria è piena di anime, ed esse sono ritenute demoni ed eroi (daimonàs te kai éroas nomìzesthai).” (Diog.Laerz., Vita dei Filosofi, VIII, 32)
Stando così le cose, allora l’altra anima (mortale, “fisica”, transeunte), l’altra psyché altro non sarà se non quella che l’Autore chiama “anima somatica”: vale a dire il complesso psichico di cui si è detto sopra, comprensivo di sensazioni, volontà, pensiero e prodotto dall’organismo stesso per tramite dell’apparato cerebrale. Questa anima è da considerarsi come strettamente legata alla vita del corpo e non l’altra, immortale, cui il corpo -sòma- è carcere (“Igneus est ollis vigor et caelestis origo / seminibus, quantum non noxia corpora tardant / terrenique hebetant artus moribundaque membra. / Hinc metuunt cupiuntque, dolent gaudentque, / neque auras dispiciunt clausae tenebris et carcere caeco”.